Quello a cui Walser ci invita nelle prose qui raccolte – dove la sua «smania vagabonda» si traduce come sempre in «smania di raccontare» – non è solo un viaggio nella «terra dei laghi» in cui è nato, descritta con un'intensità di sguardo ammaliante. "Seeland", ha scritto Walser, è termine «per così dire europeo o universale» e potrebbe essere «in Australia, in Olanda o altrove». È dunque il luogo sospeso e mutevole degli incontri fuggitivi e della narrazione, in cui l'arte del vagabondaggio è tutt'uno con l'arte della parola (come ben sappiamo dalla gemma qui racchiusa, il racconto "La passeggiata"): la riva del lago o una terrazza ombrosa, una locanda o il prato in cui il viandante si stende. Ed è anche, infine, la coscienza, lo slancio verso il mondo di un melanconico che osserva i paesaggi «con lunghi sguardi silenziosi e attenti», lasciandosi cadere «in balia di un incantesimo», nella certezza che chi osserva è a sua volta attentamente osservato: «Laddove mi stupivo, forse ero a mia volta oggetto di stupore; e se l'ambiente circostante mi appariva incerto e ambiguo, la stessa impressione facevo io a lui. Be', se non altro, era una possibilità. La campagna e tutte le sue bellezze avevano occhi, e io ne ero felice».