Un uomo come tanti, con un lavoro come insegnante e la passione per il rugby, un giorno decide di non parlare più. Un vecchio pittore d’insegne è ossessionato dai fenomeni di “disfazione” della luce.Un ex studente di letteratura tenta di cambiare vita viaggiando per il mondo. Un quarantenne dirigente d’azienda, padre di un ragazzo che non capisce, si “vede vivere” e si sente perduto. C’è un testo giovanile di Kafka in cui si dice che dietro le apparenze ci sono altre apparenze: da un pensiero del genere nascono i quattro racconti di Gianni Celati, riconducibili alla tradizione della novella filosofica. Uomini e donne alle prese con la vita di ogni giorno si trovano all’improvviso di fronte all’inaspettato: di colpo qualcosa si incrina e va in frantumi, mostrando ciascuno a se stesso come un punto disperso fra milioni di “lumicini percorsi da brividi”, estranei l’uno all’altro. Sono svolte del destino suscitate da un’attrazione verso l’esterno, che non determina nessuna consapevolezza superiore. Nelle sue operette morali, Celati non ci indica la via d’uscita dal labirinto. “Di fatto,” ci dice, “tutto questo libro è un gioco per abbassare le pretese dell’io, rendendolo perduto o disperso”, raccontando “storie per rendersi perplessi”. Salvo poi suggerirci queste parole, sommesso barlume d’utopia: “Nell’essere perduti noi aspettiamo che gli altri ci trovino, perché solo loro possono trovarci in tutto l’universo”. (Nunzia Palmieri)